sabato 7 febbraio 2009

CENTO GIORNI


Michele stava in silenzio con le spalle incollate al muro. Masticava la sua gomma senza sapore, provandoci gusto. Davanti ai suoi occhi, gli amici di una vita vivevano. In quella serata di inizio marzo, l’aria gelida faceva finta di non vedere una primavera imboscata tra i cespugli di quel mondo urbano. Michele non la sentiva, il freddo gli scivolava attraverso come un fiume senza anse.
Mancavano solo cento giorni, cento spicchi di tempo alla maturità, cento passi verso l’inizio di una fine.
I suoi compagni all’interno del locale, esorcizzavano i loro demoni tra musica assordante e rassicuranti fumi etilici. Michele preferiva starsene fuori, spalle al muro, gomma in bocca e pensieri leggeri. Il suono proveniente dall’interno era simile al battito di un cuore aritmico. “ Una cazzo di festa del cazzo, eh eh eh, oh si “, le parole schizzarono fuori dalla porta d’ingresso, seguite dal tuono hardcore delle casse a pieno regime. A parlare era Fausto, un metro e settantadue di puro niente. Michele lo conosceva dalla prima media. Non lo aveva mai capito. Fausto era una persona inerte, la massima fatica che riusciva a fare durante la giornata, consisteva nell’allacciarsi le scarpe.
Lasciava quasi affascinati il modo in cui si lasciasse scivolare il mondo addosso, tutto quello di cui aveva bisogno era un reticolato di vene, e qualche litrata di sangue da farci passare attraverso. Fausto rideva di gusto barcollando nell’aria gelida del piazzale, con gesti dinoccolati cercava di bere birra da una bottiglia vuota da chissà quanto. L’alcool gli aveva dato la caccia, e lui si era lasciato catturare ben volentieri. Michele gli appiccicò gli occhi addosso ridendo a sua volta. La sua attenzione fu presto richiamata dal cigolio della porta del bagno esterno, che si apriva come in vecchio horror in bianco e nero. Ne sgusciò fuori Mario con un’espressione raggiante sul suo viso costantemente abbronzato. Dietro di lui fece capolino Sara. Il suo rossetto sbafato spiegava la soddisfazione del suo accompagnatore. Michele guardava il suo viso privo della sua maschera abituale. Di fronte agli occhi del padre e degli insegnanti, la ragazza era un monumento virginale. Sobria, educata, stretta in maglioni a collo alto e adagiata in mutande filo ascella foderate di assorbente rigorosamente esterno. Nel vederla avresti pensato che il suo imene poteva dormire sonni tranquilli. Invece ecco la piccola e casta Sara nella sua natura ambigua, una sorta di Joker d’alto borgo.
“ Cazzo quanto vorrei che Michele fosse qui “, gracchiò Fausto sollevando la bottiglia vuota al cielo, “ Che Dio ti abbia in gloria amico “, i conati di vomito presero il posto del suo “ Amen “.
Quelle parole ubriache riversarono nella mente di Michele immagini nitide: La strada bagnata, il suo motorino che scivola sull’asfalto, lui che scivola via dalla sua vita. Cento giorni, Michele sorrise, erano passati cento giorni esatti dalla sua morte. Cento giorni prima dei cento giorni del poi.
Sara si avvicinò barcollando, afferrando la nuca dell’amico intento a riversare sul selciato i resti di una cena poco salutare. “ Sono sicura che in qualche modo lui è con noi “, bisbigliò la ragazza senza esserne troppo convinta. “ Più di quanto tu non creda “, Avrebbe voluto rispondere Michele, ma era una frase troppo scontata. “ Ora rilassati Fausto “, squittì l’amica, “ Pensa al futuro “. La parola futuro salì nella bocca di Michele. Lui la masticò insieme alla sua gomma. Con le spalle al muro, in quella sera di inizio marzo, rimase a vedere senza essere visto. Nel petto la sensazione che a lui, in fondo, sia andata meglio.

2 commenti:

  1. Grande. La storia migliore di tutto il blog.
    Vivissimi complimenti.

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  2. un po di teflon per insonorizzarsi dall'olio bollente e lasciarlo decantare, pronto per la narrata al dente

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